Intervista a Vanni Santoni

Intervista a Vanni Santoni

Vanni Santoni, parliamo del nuovo romanzo Dilaga ovunque uscito per Laterza: ritorna l’attenzione per le controculture, questa volta il tema è il mondo della street art e del writing.

Dilaga ovunque nasce in continuità con altri due romanzi Laterza dedicati alle controculture, Muro di casse, del 2015, dedicato ai free party, e La stanza profonda, del 2017, sui giochi di ruolo. In entrambi i casi, nonostante l’estrema diversità dei due mondi, si parlava di culture nate dal basso, “create da chi voleva fruirne”, generalmente fraintese e criminalizzate dal sistema, ma infine trionfanti nel loro aver influenzato aspetti vasti e a volte imprevedibili della cultura degli ultimi decenni. C’è voluto però qualche anno in più di elaborazione, dato che, a differenza del mondo dei free party e di quello dei giochi di ruolo, in cui avevo avuto una partecipazione diretta e potevo quindi avvalermi delle mie stesse esperienze come punto di partenza, il mondo del writing e della street art mi era sì noto ma non ne ero mai stato un protagonista. Di conseguenza occorreva più studio e molto più lavoro sul campo – leggi: parlare coi veri protagonisti, farmi raccontare le loro esperienze, discutere gli aspetti multiformi e a volte contraddittori di questo mondo – per acquisire le competenze necessarie per ambientarci un romanzo. Mentre cominciavo ad accumulare materiali, è arrivata l’idea per un altro libro, quello che poi è diventato La verità su tutto, uscito l’anno scorso per Mondadori, e così dalla Stanza profonda a Dilaga ovunque sono passati sei anni.

Le città diventano sempre più iconiche e accolgono insegne pubblicitarie e megaschermi; non ci si pongono troppi scrupoli sugli sprechi che ne derivano in termini di consumo e di impatto ambientale. Nello stesso tempo la street art e il writing occupano lo spazio visuale urbano tra polemiche e critiche non sempre costruttive. Questo eccesso di immagini diverse tra loro, con contenuti contrastanti crea una sorta di confusione semantica o lascia convivere aspetti divergenti in uno stesso spazio?

Credo che il fatto che un treno dipinto da un writer indigni i benpensanti, mentre non c’è la stessa indignazione quando lo troviamo pellicolato con orribili pubblicità – vero e proprio inquinamento mentale, secondo la definizione di AdBusters – ci dica molto su quanto siano distorte le percezioni di molti, e la narrazione comune, rispetto allo spazio urbano. Anche per questo writing e street art hanno sempre avuto diversi nemici: dicono, a modo loro, che “il re è nudo”, rendono più visibili le contraddizioni della città contemporanea.

Si può imparare a considerare l’arte urbana in modo critico e nel rispetto dell’ambiente in comune.

Per quanto mi riguarda, ciò che non rispetta l’ambiente comune sono appunto le pubblicità, non certo le scritte o i disegni fatti da chi lo spazio urbano lo vive – e a volte lo subisce – ogni giorno.

I centri storici stanno cambiando rapidamente aspetto, le città stesse si stanno modificando in base ai flussi turistici; la street art, lo style writing, la public art, l’urban art nelle città italiane conservano il significato sovversivo delle origini? Sono ancora delle pratiche culturali oppure sono finalizzate a riqualificare delle zone depresse o abbandonate?                                                                                         

Il graffitismo ha una storia lunghissima, dato che possiamo trovare graffiti anche a Pompei – ma c’è anche chi la fa partire coi disegni nelle caverne preistoriche, come a Lascaux – e pure il writing propriamente detto ha comunque quasi sessant’anni di storia, in cui sono accadute moltissime cose. Per questo, il primo passo necessario per parlarne è un inquadramento storico, che deve farsi via via più dettagliato con l’arrivo della post-modernità, quando i filoni si moltiplicano a dismisura e il fenomeno diventa globale. Poi è necessario tener conto delle molte intersezioni avute dal movimento: con l’arte ufficiale (fin dagli albori: già nei tardi anni ’70 alcuni galleristi newyorkesi si interessarono ai writer, per tacere del lavoro fatto da noi dalla curatrice Francesca Alinovi, la prima in Europa a capire la forza dirompente dei writing), con le scritte spontanee sui muri (quelle a carattere politico, i “latrinalia”, ecc.), con l’arte pubblica commissionata… Fino al paradosso contemporaneo, in cui artisti fin lì considerati alfieri del degrado vengono invitati da istituzioni o privati a fare muri… per riqualificare.

Il tuo è un libro socio-politico? Parlaci delle correlazioni tra politica e writing.

Dilaga ovunque è un romanzo, non un saggio politico. Dall’altro lato, però, quando si parla di controculture la politica in un modo o nell’altro c’entra sempre, perché ogni controcultura nasce come alternativa, o in opposizione, alla cultura dominante, sviluppando propri codici non sempre leggibili da fuori, e per questo viene quasi sempre fraintesa e perseguitata. Anche con leggi speciali: è accaduto coi writer come accade oggi coi raver.

Come definiresti il decoro urbano?

Credo che la definizione migliore l’abbia trovata Andrea Cegna, nel suo fondamentale Elogio alle tag, libro che è stato molto importante anche per Dilaga ovunque: Il decoro è un modello di governance, e nello specifico una forma di governo del territorio urbano volta alla massimizzazione del profitto.

La tua idea di città visual ideale.

La mia idea di città, semplicemente di città, ideale, è quella in cui le istanze che arrivano dal basso, anche in modo spontaneo, godono della stessa considerazione di quelle calate dall’alto.

Ci regali un brano tratto da Dilaga ovunque?

 Scelgo questo, dalla seconda parte, visto che tocca i temi di cui abbiamo parlato. A parlare è **** (rimasto volutamente anonimo), uno street artist militante amico della voce narrante, Cristiana Michelangelo:

… Bello, brutto: chi lo decide? E poi in fondo, e te lo dice uno che lavora cor figurativo, uno che alla bellezza der disegno ce tiene, in fondo la qualità non è rilevante: alla fine non è street art se non è illegale, perché se non è illegale non è più una sfida alle strutture di potere e alle guerre di classe che vivono sottotraccia in ogni città. Il bello è che la pensa così pure il nemico: ce stava ’sta Elyse Parker, praticamente l’assessora ai lavori pubblici de Toronto, che una volta disse che se qualcuno dipinge ’a Gioconna su un muro, la qualità è irrilevante: conta solo ’a volontà der padrone der palazzo. La questione è ideologica, lo dicono pure loro, e l’ideologia è quella del tardo capitalismo. Quello che dico io, allora, è che è giunta, o tornata, l’ora di usà le tattiche, le tecniche e i dispositivi messi a punto dal writing e dalla street art, per la contestazione. Ora, facendo i seri – me l’hai chiesto tu, oh! –, sappiamo che ogni scritta o disegno autonomo, rispetto all’egemonia della pubblicità, è già un segno di resistenza individuale; che ogni gesto non autorizzato che impone di essere affrontato pubblicamente è un discorso politico. Insomma, che l’intervento non autorizzato del graffitaro è la reazione di un singolo all’egemonia sullo spazio pubblico da parte degli interessi di una minoranza contro il benessere psicologico della maggioranza, e sappiamo pure che creà ’no spazio pubblico […] è un’esperienza intensa. Intensa, nel senso che è una di quelle esperienze che per un attimo rendono senso alla vita, in un’epoca che ci vuole solo consumatori e spettatori – o ar gabbio, se te beccano mentre provi a fà qualcosa de tuo.

Vanni Santoni (1978) ha pubblicato, tra l’altro, la saga di Terra ignota (Mondadori 2012-2017), I fratelli Michelangelo (Mondadori 2019), La scrittura non si insegna (minimum fax 2020) e La verità su tutto (Mondadori 2022). Scrive sul “Corriere della Sera”.Per Laterza è autore di Se fossi fuoco arderei Firenze (2011), Muro di casse (2015), La stanza profonda (2017, candidato al Premio Strega) e Gli interessi in comune (2019).