Recensione – La macchia umana di Philiph Roth

Recensione – La macchia umana di Philiph Roth

Un uomo, il professor Coleman Silk, cresciuto in New Jersey, preside di facoltà e professore di lettere classiche, da cinquant’anni nasconde un segreto. Lo fa così bene da non permettere che neppure sua moglie e i suoi figli se ne accorgano. Capita che un giorno una sua parola sfuggita per errore inneschi una serie di reazioni perbeniste. Basta quella parola per mandare in frantumi la reputazione di una vita e di una brillante carriera accademica; come se quanto costruito fino a quel momento non avesse più senso né potere. La falsa accusa che grava su di lui è quella di razzismo. All’età di settantuno anni, dopo essere stato costretto a rassegnare le dimissioni dall’Athena College dove per venti anni è stato professore e per sedici preside di facoltà, Coleman Silk ha una relazione con una donna delle pulizie che lavora nel college, Faunia Farley, trentaquattrenne, un passato doloroso, un matrimonio (finito) con Les Farley, un agricoltore reduce dal Vietnam e un triste destino per i suoi figli.

Coleman, quattro figli, vedovo, ama i segreti. Che nessuno sappia cosa ti passa per la testa. Che puoi pensare di tutto e nessuno lo saprà. Quando da ragazzo si allena come pugile, ama farlo con la segretezza dell’allenamento solitario. “Escludi tutto il resto, non incamerare altro e immergiti nella cosa, nella materia, nella competizione, nell’esame: qualunque cosa tu voglia conoscere a fondo, cerca di diventare quella cosa”.

La vita di Coleman è la vita di un uomo che riesce a nascondere la sua identità, a manipolare la sua esistenza riuscendo a diventare qualcosa di diverso dalle origini. Eppure la casualità entra in gioco inaspettatamente e costruisce il suo destino in un modo che può sembrare accidentale e che invece è semplicemente inevitabile.

Noi lasciamo una macchia, la nostra impronta. Nulla a che fare con la disobbedienza, né con il peccato, né con la colpa. Nulla a che fare con la grazia o con la salvezza; è in noi ed esiste prima del suo segno. Precede la disobbedienza, frustra ogni spiegazione e ogni comprensione. “Siamo creature irrimediabilmente macchiate”. L’unica religione possibile è quella politeista, degli antichi greci; quella in cui gli Dei sono meschini e amano fottere e godere, Dei che si arrabbiano e si trasformano, come fanno gli umani.

Coleman affida il suo segreto, la sua storia, all’alter ego che la racconta: si tratta di Nathan Zuckerman, vicino di casa. Attraverso il suo racconto ci domandiamo il senso dello squilibrio dato dalla relazione tra Coleman e Faunia, distanti per età e per condizione socio-culturale, il ruolo dell’ipocrisia e della convenzione. “L’estate in cui Coleman mi fece le sue confidenze […] fu l’estate in cui il segreto di Bill Clinton venne a galla in ogni suo minimo e mortificante dettaglio, là dove la vita come la mortificazione, stillava dall’asprezza dei dati specifici. ”

Il volo delle cornacchie tanto amato da Faunia, la loro impossibilità di librarsi alte nel cielo, diventa il simbolo della verità delle cose quando sono quelle che sono e non quello che per noi possono rappresentare. La voce sgraziata è un segnale, mai un canto, la loro esistenza si svolge in superficie. Vanno da una parte all’altra e nulla più.

Un romanzo che racconta lo spregevole conformismo americano e l’idiozia degli stereotipi. Un romanzo che parla della complessità delle relazioni e dell’impossibilità delle categorizzazioni. Di quello che siamo al di là di ogni volontà. Dell’elaborazione del dolore e della macchia. Prima del segno. Della macchia umana.

Sonia Ciuffetelli